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Good Land, idee per abitare la terra.

Intervista ad Anna Kauber, paesaggista e regista.

Abitare la terra è un tema largo e te lo propongo prendendo spunto dal tuo film In questo mondo dove racconti la vita di donne che hanno scelto di fare le pastore transumanti.
 
Cosa significa per te abitare la terra?
 
L’abitare la terra mi riporta al paesaggio agrario. Un paesaggio che amo perché dentro ci sono gli animali, l’uomo e la terra. Il paesaggio è un’opera comune, un bene collettivo.
 
Hai realizzato il film In questo mondo e per farlo hai vissuto due anni con le donne pastore sulle montagne di tutto il paese. Donne che abitano la terra, sorvolandola quasi, con le greggi nel totale rispetto. Le hai scelte per questo?
 
Le donne coltivatrici, le donne giardiniere, le donne cuoche hanno sempre rappresentato le mie passioni. Si prendono cura della terra in un modo peculiare, c’è comprensione intuitiva con il dare la vita. Il pensiero, la cura costruiscono, modellano un paesaggio funzionale, il nostro paesaggio italiano collettivo. Il loro lavoro che impiega le mani, nella sua compiutezza contribuisce a plasmare il paesaggio che diventa arte collettiva.
 
Solo nella recente agricoltura industriale, se si inquadra da un punto di vista storico, non si trova più quel compiacimento del proprio lavoro che, all’opposto, è ancora visibile nei piccoli agricoltori e allevatori, soprattutto quelli della montagna. In questo senso, esiste in loro la consapevolezza che la loro azione è in grado non solo di produrre cibo, ma di farlo ‘a regola d’arte’, perché di qualità, perché sano, perché rispettoso. Perché bello!
 
In che modo possiamo incontrare, creare dei legami con le realtà che racconti?
 
E’ nostro compito spogliarci di tanti luoghi comuni, aprire la mente e il cuore per avvicinarsi a persone che la terra la abitano e la vivono, prendendosene cura.
 
Dobbiamo togliere queste persone, siano uomini o donne, contadini o pastori, allevatori o artigiani del cibo, dal buio mediatico. Pochi parlano di loro, e quando lo fanno, spesso restituiscono narrazioni fasulle, edulcorate e dunque è importante continuare, non perdere occasione per raccontare le loro storie, il loro lavoro.
 
Il film In questo mondo non ha mai voluto essere solo un’esperienza estetica e ha permesso alle donne pastore di incontrarsi e sentirsi vicine. Molte persone che hanno apprezzato il film mi hanno scritto per poterle raggiungere, conoscere e comprare i loro formaggi. Sono donne che vivono in paesaggi minori ma di una bellezza malinconica e struggente. Sorprende coma la loro scelta di vita sia una scelta culturale, l’esito di un percorso di ricerca molto intimistico. Non c’è ricattabilità nel loro lavoro. Non baratterebbero mai il loro senso di libertà e lo stare in natura (i bisogni maggiori che le hanno spinte nella scelta) con l’ultimo modello di iPhone. Hanno modificato i paradigmi che condizionano tutti noi: quello economico, fra i primi. Quello sociale, con il ritorno alle piccole comunità… e non ultimo, hanno modificato il significato dello ‘stare bene’, della felicità. Vivendo con loro ho capito che il bisogno che deve emergere dentro di noi, che viviamo lontano dalla terra, è quello del senso di una perdita, la perdita con l’elemento naturale che è in noi, qualche cosa di atavico.
 
L’agricoltura industriale ha portato alla rimozione di una cultura intera. E’ stato negato il valore della capacità creativa degli agricoltori ed è un valore che va riattivato. Deve tornare ad essere un pensiero fondativo del nostro Paese, una visione della vita capace di modellare, condizionare anche la cultura urbana, per ritornare all’equilibrio città-campagna che si è spezzato con l’avvento dell’agricoltura industriale e capitalistica.
 
Per Emilio Sereni Paesaggio agrario significa quella forma che l’uomo, nel corso ed ai fini delle sue attività produttive agricole, coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale. Ci puoi dire di più?
 
E’ certamente il mio augurio, e anche una speranza che come Good Land cerchiamo di alimentare e sostenere con specifici progetti legati ai nostri territori di prossimità ed allo sviluppo delle loro potenzialità. Ma vedo con piacere nascere sempre più attenzione verso progetti che promuovono riuso e risorse locali. La vera sfida ora è trasformare tutto questo in una somma di pratiche capaci di introdurre servizi innovativi e di economia di qualità nelle aree interne, rendendole distretti produttivi integrati per vocazione al resto del paese. Vorrei pensare che in questo passaggio il post Covid19 diventi una porta aperta verso un più attento equilibrio tra economia e habitat.
 
Questa definizione era collegata all’idea, che ho sempre notato nelle mie ricerche, del legame profondo con la propria opera che ha chi sceglie un lavoro agro-silvo-pastorale. Del loro essere radicati nel qui e ora. La cultura dell’attività rurale oggi è in grado, meglio di altre, di restituire un senso preciso, concreto alle azioni. E, mi viene da dire, più estesamente dell’esistenza. ‘Quello che fai, la fatica e l’impegno, la terra te lo rende sempre’ dicono le donne pastore che ho incontrato. Nonostante la difficoltà e a discapito dello scarso rendimento economico, il senso di appartenenza, l’orgoglio per il proprio prodotto, l’appagamento a fine giornata è unico e ormai raro a trovarsi proprio per lo scollamento, la distanza, l’altrove che vive la città. Nella piccola agricoltura, nella pastorizia e nelle attività forestali il pensiero si salda al lavoro manuale e – nell’immediato – è in grado di creare le forme, i colori, i profumi… In breve, la vita.
 
L’intervista realizzata da Rita Brugnara il 28 aprile 2020.