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L’olio extra vergine di oliva delle piante monumentali della Riserva Naturale di Torre Guaceto

Gianfranco Ciola, agronomo e naturalista, produce l’olio extra vergine di oliva bio da olivi secolari. I suoi olivi hanno un’età media di 500 anni e crescono all’interno della Riserva Naturale dello Stato di Torre Guaceto in provincia di Brindisi.
 
Quanto è difficile coltivare olivi secolari? Hanno bisogno di cure particolari? Come avviene la raccolta?
 
Per prendersi cura degli olivi secolari occorre innanzitutto essere animati da passione e amore per la propria terra e rispetto per le generazioni passate che hanno avuto cura per questo patrimonio.
L’olivo è una pianta generosa che riesce a crescere in condizioni ambientali difficili, su suoli rocciosi, con elevate temperature estive, poca acqua e poca terra. Ha bisogno però di cure come la potatura per fare in modo che il sole raggiunga anche l’interno della chioma.
La raccolta delle olive è una vera impresa. Si utilizzano lunghe pertiche che hanno all’estremità dei pettini pneumatici. Per raccogliere le olive nei rami più alti, servono cestelli elevatori azionati da una trattrice.
Le olive raccolte vengono subito portate in frantoio per essere molite in giornata, condizione indispensabile per ottenere un buon olio.
 
Gli olivi secolari compongono un paesaggio straordinario. Ma la straordinarietà in che cosa consiste?
 
Si tratta di un paesaggio unico. I tronchi delle piante sono monumentali, contorti, fessurati, vere opere d’arte scolpite dal tempo. Ogni tronco è anche una nicchia ecologica dove trovano rifugio rettili, insetti, piccoli mammiferi, uccelli.
Gli oliveti secolari sono caratterizzati da una fitta trama di muretti a secco che a loro volta contribuiscono alla biodiversità offrendo riparo a piccoli animali e ospitando una ricca vegetazione appartenente alla macchia mediterranea.
La gestione biologica dell’oliveto assicura dunque biodiversità e cura del paesaggio. Un paesaggio rurale rimasto immutato nella storia. Passeggiare in un oliveto secolare è come essere alla guida di una macchina del tempo.
 
Quale legame unisce gli ulivi secolari alla comunità? Il rapporto è ancora vivo o si è perduto?
 
Il rapporto tra gli oliveti secolari e la comunità locale è un po’come quello tra gli abitanti di Roma e la magnificenza di una città piena di storia. Gli olivicoltori hanno nel tempo continuato ad aver cura di un simile patrimonio storico e culturale con estrema naturalezza. Andava fatto con la stessa premura che avevano dedicato i loro genitori e nonni, senza aspettarsi nulla in cambio. Solo negli ultimi decenni, con il crescere dalla sensibilità nei confronti del paesaggio e dell’ambiente, l’interesse nei confronti di questi olivi ha coinvolto turisti, viaggiatori e anche le Istituzioni.
Nel 2007 è nata la legge regionale sulla tutela e valorizzazione del paesaggio degli oliveti monumentali che ne ha vietato l’espianto e il commercio.
La bellezza paesaggistica degli olivi monumentali è oggi talmente riconosciuta che molti oliveti delle masserie storiche appartengono ora ad investitori stranieri. Il vero business non sta più negli olivi e nell’olio, ma nell’accoglienza di lusso inserita negli oliveti monumentali, contesto paesaggistico straordinario.
 
In Salento si sta diffondendo un batterio, la Xylella fastidiosa che uccide gli ulivi. A che punto è la ricerca? Che cosa state facendo per difendere le piante?
 
Si è così. Ma non sono solo gli olivi a morire. Muore anche il patrimonio di saperi legato alla pianta dell’olivo. In dieci anni è andato distrutto uno scrigno di biodiversità durato millenni.
La ricerca purtroppo è frammentata, talvolta segue rivoli in contrasto tra loro. Ha spesso contribuito a dividere la comunità tra chi è contrario all’abbattimento degli alberi malati e chi vede nell’abbattimento una delle soluzioni per evitare l’avanzamento del batterio. Al momento non ci sono soluzioni curative. Si ricorre a pratiche preventive, come arature e sfalcio della vegetazione erbacea per ridurre la popolazione dell’insetto vettore del batterio, che vive tnell’erba primaverile dell’oliveto.
Al momento due sono le varietà di olivo tolleranti al batterio: la Favolosa e il Leccino che non manifestano i sintomi del disseccamento.
Ci si augura una maggiore coesione tra gli agricoltori, gli operatori di altri settori economici come il turismo e il mondo della ristorazione, la comunità locale, le istituzioni e il mondo della ricerca per fare fronte comune a questo problema ed essere vicini agli agricoltori che stanno vivendo un dramma che rischia di essere non solo economico ma anche psicologico.
 
Molte persone, intere comunità, lontane da quei paesaggi mediterranei a rischio, vorrebbero mettersi in gioco. Che cosa possono fare? In che modo Good Land, oltre a vendere l’olio degli olivi secolari, può creare sensibilità sull’argomento?
 
Possono innanzitutto sostenere l’olivicoltura pugliese e salentina, acquistando l’olio extravergine di agricoltori che adottano metodi di coltivazione creare opinione sulla questione.
Per trovare un rimedio all’azione devastatrice della Xylella occorre investire nella ricerca pubblica e privata, così come è avvenuto per il Coronavirus.
Nel caso della Xylella i margini di ritorno economico per gli investimenti sono purtroppo molto bassi. L’olivicoltura è una coltura mediterranea che interessa solo una parte limitata della superficie agricola europea, peraltro in contrasto con la produzione di olii di semi come soia, mais, girasole, colza e con i grassi di origine animale ottenuti da agricolture e allevamenti continentali.
Andrebbe condivisa con maggior forza l’idea che l’olivo non è solo produzione di olio. L’olivo fa parte della storia, della cultura, della civiltà del Mediterraneo, dell’Europa e del Medioriente e se scompare, scompare anche il simbolo della civiltà di tanti popoli uniti dall’olivo.
 
La morte degli ulivi dovrebbe essere percepita come una catastrofe per l’Intera nazione e anche per l’Europa. Quello che accade agli alberi e agli animali dovrebbe avere lo stesso valore di quello che accade agli umani. Fino a quando non capiremo che siamo sullo stesso piano potremo solo fare disastri per noi stessi e per tutte le altre creature del pianeta.
 
Franco Arminio
 
intervista di: Rita Brugnara